martedì 28 maggio 2013

qualcuno deve pur averci presentato (primi incontri – casuali o meno e non sempre capiti – con i miei compagni di viaggio)


5. yes. l'appuntamento rimandato. prima parte


ho sempre avuto più che un debole, diciamo anche passione sfrenata, per gli albums dal vivo. tipo, fra i miei 100 dischi preferiti, ce ne saranno 60, più o meno. adesso, ai giorni i nostri, i dischi live, con l'ipertecnologia, il digitale, le basi, i click e quant'altro, sono diventati poco più che lussuose antologie, con in più (anzi in meno) gente che canta e batte le mani spesso a sproposito. negli anni 60, e soprattutto 70, era diverso. ma che ve lo dico a fare. gli albums dal vivo, erano veri e propri banchi di prova per i musicisti, coronamenti e spartiacque per le loro carriere. insomma era dove si vedeva l’uomo in faccia. nei live – intesi come dischi – i fans e la critica testavano la bontà e la resa dei brani denudati dagli effetti, dai trucchi o dagli orpelli delle sale di incisione. si alimentavano le leggende dei grandi performers, e i fans più lontani dai luoghi sacri del rock, potevano avere un’idea di quello che erano capaci i loro idoli su un palco. e i più piccoli potevano sognare di essere in prima fila ad un vero concerto. magari tenendo in mano la copertina di questi dischi, spesso doppi o tripli per contenere la durata di un ideale concerto, di solito ricchi di foto scattate proprio durante i concerti. ci sono album dal vivo che sono diventati leggendari, nel bene e nel male, ci sono stati artisti che hanno pubblicato tantissimi dischi live, altri molto più refrattari, dando ragione alle malelingue che li volevano incapaci di esibizioni degne dei loro dischi (i king crimson, per esempio), dischi registrati male o malissimo, ma assolutamente straordinari, dischi ascoltando i quali, ti sembrava – ti sembra – veramente di essere al concerto. alcuni riportavano concerti interi, altri erano presi da varie esibizioni dello stesso tour, altri ancora addirittura spaziavano in vari anni, talvolta anche con cambi di formazione. ma tutti questi dischi, alle orecchie del giovanissimo fanatico, avevano, un tratto e un gusto comune e, ovviamente, magico.
tutto questo lungo preambolo, per parlarvi del primo disco live che ho ascoltato. ma, da vero cialtrone quale sono, naturalmente adesso non mi ricordo, se il primo “in concert” che ho incontrato sia stato questo, oppure “le orme in concerto”. però, dato che del trio veneto, abbiamo già parlato, diamo questa palma al disco in questione. che poi, parlare di dischi, è comunque improprio, perché, come già detto, i primi incontri sono avvenuti grazie alle cassette, anzi alle musicassette.
avevo già iniziato a leggere ciao 2001 da qualche mese e quindi stavo scoprendo nuovi gruppi, anche se, è il caso di dirlo, talvolta solo sulla carta. in un numero primaverile del settimanale, c’era la recensione del concerto romano di un gruppo inglese, gli yes. oltre al nome, ricordo che mi colpì la foto a doppia pagina del bassista. indossava un completino arancione con tanto di mantellina, ed era impegnato al microfono. [ apro una parentesi. all’epoca il basso elettrico, mi intrigava, soprattutto perché non mi riusciva di distinguerlo fra gli altri strumenti. poi, quando ho imparato a riconoscerlo me ne sono innamorato. chiudo la parentesi ]. il servizio era molto dettagliato e si dilungava molto sull’abilità strumentale del quintetto.
in radio non trasmettevano gli yes, perché il loro ultimo doppio album, il cui titolo non riuscivo a capire (tales from topographic oceans) conteneva brani troppo lunghi. in più, un ragazzo al mare – un fiorentino sbruffone più grande di me – mi disse “gli yes? barocchi, iobono!”
quell’estate, mio padre partecipò ad un raduno di vecchi commilitoni. uno di questi, un omone di bologna che si chiamava selmi, venne a mangiare a casa nostra, con moglie e figlio. il ragazzo, biondo e secco, aveva, mi pare 16 anni. quando vide i miei ciao 2001, ne prese uno, e disse “anch’io lo compro sempre”. Iniziammo a parlare di musica. io facevo il bullo con i pochi nomi che conoscevo davvero e quelli che facevo finta di conoscere, lui – chissà come si chiamava – sciorinava nomi e dischi, dei quali cercavo di prendere mentalmente nota. “ah, gli yes, mi piacciono molto, soprattutto yessongs, bellissimo”. immaginatevi questa frase detta con forte accento bolognese. la confusione e la curiosità aumentavano.
qualche settimana dopo andai con mio padre al mercatino americano di livorno, uno dei luoghi mitici e magici della mia giovinezza. lì avrei comprato il mio primo impianto stereo serio e i miei primi rayban, naturalement.
e lì trovai, finalmente, yessongs.